Bike Camp 2013: la Majella che non ti aspetti...

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L'ANTEFATTO

Intanto dobbiamo dire che è stato grazie ad una fortunata intuizione di Gecko che abbiamo adocchiato come possibile meta del Bike Camp, che da anni rappresenta il clou del nostro calendario di uscite, una meta così poco consueta: l'Abruzzo. Subito è partita una ricerca di tracce e percorsi che ha dato ben pochi frutti: in rete non si trova quasi nulla. Poi, la svolta: l'approccio con un gruppo di locals che si sono dimostrati subito collaborativi e ci hanno fornito consigli e tracciati. A questo punto, tracce e cartina alla mano, l'altra intuizione: il paesino di Bocca di Valle sembra essere "l'ombelico" della zona più frequentata e che stimola di più la nostra fantasia. E, per l'appunto, proprio qui esiste una struttura ricettiva un po' particolare, il "Pater Montium". Che roba è? Un albergo? Un residence? Un ostello? Un bar/ristorante/pizzeria? In effetti è un mix di tutto questo.

Bene, contrattiamo per un appartamento da dieci posti anche se, inizialmente, siamo solo 7 o 8: sono cinque camere, il bagno e la cucina, il prezzo è buono e comprende la prima colazione al bar, posto per auto e carrello, ingresso indipendente, locale ricovero bici... cosa volere di più? Confermiamo la prenotazione per 8 persone.180620131434 m

I locals, che fanno capo al gruppo dei "cinghiali della Majella", si scatenano nel volerci organizzare di tutto, ma è soprattutto una la proposta che colpisce la nostra attenzione: un percorso notturno con salita al rifugio della Val d'Ugni, nel bel mezzo della riserva naturale della Majelletta, cena autoprodotta e pernottamento in attesa dell'alba sul mar Adriatico. Una proposta da non poter rifiutare, ma... man mano che dai contatti con quei "ragazzacci" emergono i particolari dell'evento, un sottile odor di "GF" si comincia a far strada. Volendo prendere una decisione per il bene di tutti, preferisco non sapere altro: basta, prima si va e poi si vede.

Il sottile odore diventa profumo e viene percepito anche dagli altri, ma inaspettatamente non fa che aumentare la bramosia di partire, tanto che si aggregano in extremis anche Edo e Ringhyo, seppure per soli due giorni e mezzo. Oltre a loro due, a me e a Gecko, il plotone è composto da Alex, Mimmo, Nano, Manlio, Fabio e Geranio. Come si vede, un bel gruppo eterogeneo di veterani e di nuovi acquisti, ma come sempre l'affiatamento è fuori discussione.

Dopo un lungo ma piacevole viaggio con pulmino e carrello strapieni, arriviamo a destinazione nel primo pomeriggio. Giusto il tempo di scaricare armi e bagagli, indossare il completo buono e riempire il nuovo zaino d'ordinanza e si presenta il nostro anfitrione: Adamo, tipo tosto da taglia XXL con ginocchiere calate al polpaccio, capelli lunghi e canottiera freeride... Quattro chiacchiere, parecchie risate e, dopo cinque minuti, sembrava di essere amici da tutta la vita.

IL PROLOGO 

Adamo si offre di farci fare un assaggio dei sentieri circostanti, in attesa di fare l'orario in cui ci troveremo con gli altri partecipanti alla notturna. Si parte e si sale, imboccando dei bei sentieri e carrarecce che, nei giorni seguenti ci vedranno ripetutamente passare. Ridendo e scherzando si arriva fino quasi a 1100 m. d'altezza con un buon ritmo. HPIM4869 mPrima sorpresa: Mimmo, con l'aiuto della sua nuova front da 29", sale come una scheggia! Anche gli altri, con il morale alto e grande aspettativa per la GF, pedalano pimpanti. Suggerisco che, per essere un assaggino, può bastare fin qui e giriamo la prua verso valle: l'assaggio diventa una scorpacciata di singletrack divertenti e pieni di insidie naturali, contropendenze e lastroni di roccia sui quali Nano lascia un po' di pelle... nulla di grave, si riparte veloci ma senza rischiare troppo e si arriva alla "Baita del Poeta", una baracchina in mezzo al bosco dove, complice l'interessamento di Adamo, ci servono un'ottima tagliatella al cinghiale (sono circa le 5 del pomeriggio...) accompagnata da quella che risulta essere la bevanda preferita dei bikers locali: birra a volontà. Quanto sia "a volontà" lo capiremo nel corso della nottata.

Ripartiamo e altro singletrack molto carino dove rimaniamo tutti in gruppo (anche se Mimmo con la front paga qualcosa) fino a sbucare in paese, davanti ad un bar che, c'informa Adamo, è tappa finale obbligata di tutti i giri in loco. Nel frattempo arrivano altri due compagni di Adamo, ed ovviamente per stringere amicizia cosa c'è di meglio di un bel giro di birre? Aritonfa! L'abitudine comincia a piacerci, specie col caldo che fa... 

Adamo riceve una telefonata che ci fa preoccupare: la Forestale non vuole che andiamo di notte su per la riserva! Battibecco telefonico, poi sembra esserci una scappatoia e si parte per Palombaro, partenza del giro, che scopriamo essere un paese ben più basso di Bocca di Valle... "Allora, quando si torna, c'è da rimontare...", intuisce qualcuno. Beh, si. Sennò che favata sarebbe.

A Palombaro troviamo i cinque locals al gran completo, ci aspettano vicino al furgone carico di bici e dell'occorrente per quelle che definiscono le "integrazioni" da fare lungo il percorso... Ci indicano l'imbocco della strada che ci porterà al parcheggio dal quale loro inizieranno l'ascesa in bici verso il rifugio: una pettata ignobile che si arrampica tra case e campi coltivati, fino a diventare una cementata nel bosco ai limiti del ribaltamento. Si comincia bene, anzi si "continua", dato che sono già ore che pedaliamo...

Al parcheggio troviamo il furgone e i "cinghiali" che si preparano, meravigliati del poco tempo che ci abbiamo messo ad arrivare fin li. Scende il buio e, poco dopo, altra sorpresa: un fuoristrada della Forestale ci sbarra la via. Evidentemente, dopo la telefonata, hanno cambiato parere (forse perchè siamo un gruppo troppo numeroso) e non vorrebbero farci salire in notturna, pare sia proibito ai mezzi "meccanizzati". Obiettiamo che le bici non dovrebbero rientrare in questa categoria. Dopo un lungo tiramolla, in qualche modo si allontanano ma senza averci dato il permesso. Ma noi ormai siamo pronti a tutto pur di salire, siamo venuti da Livorno per questo, e l'avventura prende il via.

LA NOTTE BIANCA IN VAL D'UGNI

La notte è scesa, le piccole luci "da salita" ondeggiano sulla larga strada sterrata che sale in mezzo al bosco con ampi tornanti, gli amici abruzzesi ci hanno solo chiesto di mettere nei nostri zaini alcune lattine di birra ed hanno le bici stracariche di roba, per cui fanno dei lunghi tratti a spinta. Noi pedaliamo (quasi) tutti, ma ci fermiamo spesso per cercare di salire tutti insieme. Nonostante questo, quando ci sgraniamo lungo il percorso con i più pimpanti davanti e quelli meno indietro, mi ritrovo per lunghi minuti in completa solitudine, sulla testa il soffitto buio degli alberi con un cielo strapieno di stelle che, ogni tanto, fa capolino tra i rami, il solo rumore che si sente è quello delle ruote sulla ghiaia e le battute e le risate degli altri in lontananza. Momenti di riflessione, con il sudore che cola copioso e brucia negli occhi, il cervello in modalità risparmio energetico con l'unico neurone impegnato a capire chi me l'ha fatto fare... ma la consapevolezza che non vorrei essere da nessun'altra parte.HPIM4871 m

Arriva il momento della prima "integrazione": un tavolo di pietra sul percorso accoglie una quantità di birre impressionante apparse dal nulla, pane a volontà e una caciotta enorme che risulta essere eccellente e rischia di essere fatta fuori al primo colpo. Chissà cos'altro si cela in quegli zaini gonfi... Mangiamo come lupi della Majella, beviamo la birra fresca come cammelli assetati e si riparte.

La salita pare interminabile, sarebbero in tutto 12 chilometri dal parcheggio ma per noi, partiti da molto più lontano, è una salita estremamente più lunga di quelle a cui siamo abituati. Le soste si alternano ai lunghi tratti pedalati di rampichino, un tornante secco e poi un tratto diritto, poi ancora e ancora. La quota comincia ad essere cospicua e il sudore si ghiaccia addosso appena ti fermi, rinunciamo alla seconda "integrazione" perchè la vegetazione che si sta diradando ed i GPS ci dicono che non manca troppo alla meta. Infatti arriviamo allo scoperto e lo spettacolo toglie quel poco di fiato rimasto: la montagna buia intorno a noi si staglia sullo sfondo della piana che ci separa dall'Adriatico, costellata di milioni di luci a far concorrenza sleale al cielo stellato e limpidissimo. Con questo spettacolo negli occhi, arriviamo ad una curva e, quasi per caso, a poca distanza dalla strada s'intravede il tetto di una piccola costruzione immersa nel buio più assoluto: sono quasi le tre e il rifugio è completamente pieno di gente addormentata. Impensabile accendere il fuoco e cuocere gli attesi "arrosticini", ma neppure trovare un angolo per riposare al coperto...

Pian piano arrivano tutti gli altri e decidiamo di sistemarci alla meglio e aspettare l'alba, che ormai non tarderà neanche troppo. Trovo due tavoloni nella legnaia esterna e li uso per ricavare un giaciglio a ridosso del muro posteriore del rifugio, mi tolgo la maglia zuppa di sudore e indosso tutto quello che ho di asciutto, poi mi sdraio titubante e rincotto con addosso anche i guanti, lo zaino per guanciale e il telo frusciante di Decathlon, che pare l'incarto dell'uovo di Pasqua, tirato fin sulla testa... meno male che ce l'abbiamo, a 1850 metri d'altezza la notte non è proprio uno scherzo, anche se il meteo ci ha voluto un gran bene.

In qualche modo mi addormento, con in testa un pensiero: se non è una GF questa... In un attimo son già le prime luci dell'alba, mi giro indolenzito e cominciano ad entrare spifferi ghiacci da tutte le parti della mia precaria copertura, dopo alcuni minuti preferisco alzarmi perchè mi sta venendo il convulso. Faccio il giro del piccolo edificio e vedo la gente che emerge dalle confezioni pasquali e da altri sacchi a pelo più seri, l'orizzonte è già dipinto di tutti i colori possibili immaginabili e la pelle d'oca non è dovuta solo ai brividi di freddo. Mi affaccio all'interno e vedo il fuoco già acceso da Adamo, ovunque appaiono facce stralunate ma sorridenti da sotto improvvisati copricapo.

L'ALBA DEL SECONDO GIORNO

Giusto il tempo di riscaldarsi un po', poi di nuovo fuori per non perdersi la prima unica, vera, inimitabile alba adriatica ad alta quota della nostra vita. Spettacolo.DSC00333 m

Facciamo molte foto, pur sapendo che nessuna servirà se non a far riaffiorare il ricordo di quegli attimi dalla memoria di chi ha avuto la fortuna di essere li in quel momento e non se lo dimenticherà mai. Intanto un profumino di braciata serpeggia, inaspettatamente gradito al pari dell'odore di un caffè o una brioche che non ci sono. Sono i tanto attesi "arrosticini", spiedini tipici di carne di pecora, emersi a centinaia dagli zaini dei nostri compagni abruzzesi insieme alle immancabili birre a gogò che anche noi abbiamo trasportato. Non manca il pane e neanche innumerevoli fette di pancetta che viene rapidamente arrostita e prontamente divorata con tutto il resto. Che bellezza! Goduria nella goduria. Le aspettative per questa GF sono state non solo rispettate ma addirittura superate dalla realtà che abbiamo vissuto.

Il sole che già riscalda e la pancia piena ci fanno dimenticare ogni disagio e tutta la fatica sembra scomparsa. Sembra. Rifatti gli zaini e risaliti in sella, le gambe ci ricordano subito che non siamo dei superman, ma persone normali. Adamo deve ridiscendere subito per rientrare al lavoro, gli altri amici abruzzesi decidono di seguirlo per non incorrere nelle ire della Forestale per aver fatto la discesa mentre salgono i partecipanti alla manifestazione prevista per fine mattinata, al pranzo della quale avevamo pensato di aderire anche noi. Ci separiamo da loro con la promessa di rivederci nei giorni seguenti e ci accingiamo a salire più in alto per cercare un percorso diverso per scendere a valle.

Ben presto mi accorgo che l'impresa è molto ardua, sia per l'assenza di vie alternative, sia per lo stato pietoso di alcuni di noi che strascicano i piedi, figurati se pedalano o possono affrontare una discesa tecnicamente difficoltosa. Meglio rientrare, anzi, a questo punto conviene scendere subito a valle prima che salga la gente a piedi e a cavallo, rinunciando al pranzo in quota che ci bloccherebbe fino al primo pomeriggio. Dopo aver raccomandato a tutti la massima prudenza nello scendere per evitare spiacevoli incontri, ci sciroppiamo lo stradone al contrario, non senza meravigliarci di come avevamo fatto a salirlo tutto nella notte.

Arrivati all'asfalto, iniziamo a risalire rassegnati la strada di rientro, con numerose soste ristoratrici a base di ciliege selvatiche di ogni tipo. Finalmente raggiungiamo Bocca di Valle dove si conclude questo primo, interminabile giro: quasi 70 km. compreso il "prologo", con oltre 2700 metri di dislivello.

Una doccia ristoratrice ci attende. Quando siamo tutti lavati e rivestiti, ci accorgiamo che è ancora presto, poco più delle 11: ci sembra passato un secolo da quando siamo arrivati, ma non sono ancora passate 24 ore! C'incastra di andare a fare un po' di spesa al supermercato a Guardiagrele, prima che chiuda. Per pranzo, decidiamo che ci meritiamo un buon ristorante tipico: ce n'è giusto uno a poche decine di metri dal Pater Montium, la "Tana del Lupo". In effetti la fame da lupi ce l'abbiamo...

Dopo il gustoso pranzo, la stanchezza della nottata si fa sentire e decidiamo di concederci una pennichella. Al risveglio, qualcuno si preoccupa di preparare la cena e qualcuno di studiare il giro dell'indomani, che dovrà essere abbastanza leggero da permetterci di recuperare le forze in vista della GF del Blockhaus, prevista per il giorno successivo. Inoltre dobbiamo rimanere in zona per il rientro anticipato di Ringhyo e Edo. La scelta ricade sul giro che porta alle cascate di S.Giovanni, senza sapere ancora cosa ci riserberà.

Una bella cena autoprodotta a base di spaghetti alla matriciana e salsicce con fagioli, innaffiata dall'ottimo Montepulciano locale, conclude questa lunga giornata. Stanotte dormiamo in un letto vero!

TERZO GIORNO: LE CASCATE E IL PIAN DELLA CIVITA

Viene il mattino e non c'è bisogno della sveglia, tutti in piedi come se niente fosse e via, a sperimentare la colazione al bar dell'albergo che è compresa nel prezzo del pernottamento. E' la prima volta che ci capita di avere questo "lusso", anche perchè la colazione tutti insieme intorno al tavolone di cucina con il tegame del latte caldo e la moka fumante in mezzo è sempre stato ugualmente apprezzato. Stavolta "ci tocca" il bancone del bar, con il barman a nostra disposizione (ci siamo solo noi?) per latte macchiato o cappuccino e il vassoio dei cornetti appena sfornati che vengono regolarmente spazzati via... Ci riforniamo anche dei comodi "cestini" che avevamo richiesto al gestore la sera prima: due panini e un frutto ciascuno ad un prezzo irrisorio, non vale la pena di perdere tempo a prepararceli da noi.

Ci vestiamo e, dopo aver dato una lubrificata alle bici e una controllata alle gomme, si riparte. Stavolta non abbiamo guide locali (ma la nostra consuetudine sarebbe questa), comunque le tracce sui GPS ci portano ancora in giro verso Pian delle Mele e la Valle delle Monache, destinazione cascate. Lasciata la carrareccia che ormai ben conosciamo, imbocchiamo un bel sentierino che sembra sempre iniziare a scendere ma, invece, si mantiene abbastanza alto, fino ad arrivare ad un guado che ci fa cambiare versante. Convinti di scendere verso le cascate, che stimiamo essere parecchio più a valle, ci troviamo a salire ancora finchè, all'improvviso, ci troviamo di fronte alla discesa... e che discesa! In pochi tornantoni dal fondo friabile e insidioso, perdiamo parecchia quota e ci troviamo su un sentiero meno ripido e più godereccio che segue a mezza costa il torrente. Presi dalla discesa, arriviamo ad un guado dove un segnavia ci dice che le cascate sono dietro di noi... le abbiamo mancate! Decidiamo di dare fondo ai panini, il posto è bellissimo e c'è anche una sorgente per bere. Edo e Ringhyo, come annunciato, prendono il sentiero che scende e che sembra portare agevolmente al paese, visto che ne provengono delle persone camminando con i sandali ai piedi. In seguito verremo a sapere che i due hanno sbagliato percorso e si sono ritrovati a spingere le bici per un bel tratto nel bosco...

Noi, rifocillati, decidiamo di tornare indietro per vedere le famigerate cascate e, dopo aver pedalato un po' e spinto molto, troviamo una deviazione che sembra quella giusta. Lo è, e lo spettacolo che ci attende è veramente carino, un anfiteatro di rocce e alberi imponenti, con un esile torrente che precipita dal margine superiore, a picco, per 25 o 30 metri e forma una piccola vasca, non grande abbastanza da farci il bagno, come pensavamo, ma abbastanza da tenerci al fresco i cocomeri ad agosto, come ci dice qualcuno del luogo.

Dopo le foto di rito e fatto il pieno dell'aria fresca che spira in quel sito singolare, si riparte: torniamo ancora indietro fino ad un bivio che avevamo visto scendendo, un sentiero in salita dalla parte opposta delle cascate che ci fa raggiungere il crinale sulla destra orografica della valle. Finalmente scollettiamo e s'inizia a scendere... che meraviglia! Uno slalom speciale nel quale non puoi prendere troppa velocità per poter seguire lo zigzagare dei bassi pini, senza vedere cosa c'è dietro la prossima curva. Impressionante palestra di guida, prendo qualche rischio per forza, non tanto di cadere ma di spaccare qualcosa per le rocce seminascoste dalla vegetazione, ma mi diverto veramente tanto. E quanto dura! Di sicuro abbastanza da far salire il livello di adrenalina e tappare la famosa vena... il risultato è una folle volata dove non sbaglio praticamente nulla, viaggio come un treno sulla bici che risponde come fossimo fratelli gemelli. Mah, meglio rallentare...

Arrivo ad un pianoro fuori dal bosco, un grosso cartello dice "FREEDONIA", non so a cosa si riferisce ma sono d'accordo con lui. In pochi minuti siamo tre, quattro, poi tutti emergono dal folto con le facce invariabilmente sorridenti. Non è finita, c'è una scala metallica per superare un grosso balzo, poi il sentiero riparte, più "cattivo" di prima ma, ormai, non ci ferma più nessuno: giù e ancora giù, il cervello staccato ed il corpo che reagisce autonomamente agli stimoli del percorso. Alla fine, una scala di gradoni in legno e una in muratura sulle quali passo quasi senza toccare terra, sotto gli occhi esterrefatti e un po' dubbiosi di un tizio che prende l'acqua alla vicina fontana...

Uno dei più bei sentieri che io abbia mai fatto, come dirò agli altri con tutta sincerità: forse ne ricordo qualcuno altrettanto bello, ma non più bello di questo dal punto di vista della guida, del fondo e delle sensazioni meravigliose che mi ha regalato.

Casualmente l'uscita sulla strada corrisponde al bar che Adamo ci ha indicato come tappa finale di ogni giro, e capisco perchè. Non ci sottraiamo, quindi, alla tradizione del birrino al tavolo dei commenti post-giro, aggiungendo qualche "gazzosa" per gradire. Il Pater Montium è dietro l'angolo, ci aspetta una bella doccia e una gustosa cena a base di spaghetti alla carbonara, preparata dalla premiata ditta "Mimmo, Alex & Co.".

QUARTO GIORNO: IL BLOCKHAUS

L'indomani, stesso rito della colazione al bar e dei cestini: ormai ci siamo abituati bene... La GF del Blockhaus ci attende, si parte senza fretta per il solito percorso di Pian delle Mele che, stavolta, ci servirà per salire moooolto più in alto dei giorni precedenti. Arriviamo fino al vedere la fine della carrareccia, dove inizia un bellissimo sentiero che sale a strappi, cioè con brevi tratti ripidi alternati ad altri quasi in piano che ti fanno riprendere fiato. Il fondo misto di foglie, terra e pietre compatte assomiglia a quello del Romitorio vicino a Sassetta, però con un bosco di latifoglie molto più alte e rade. Qualcuno avvista un bel capriolo mentre l'allegra comitiva si snoda tra molte foto e il filmato di Beppe. Arriviamo ad una fontana detta di Carlantonio, fuori dal bosco. Il sentiero sembra finire, poi intravediamo la traccia che ci riporta nel bosco di fronte a noi. Il sentiero è bello ma, stranamente, non sale un gran che: rimaniamo sui 1400 m. costanti, pur avvicinandosi alle pendici del monte. Comincio a pensare che ci sarà da salire tutto in una volta.

Infatti. Arriviamo ad un bosco rado di alberi altissimi, piuttosto ripido; il sottobosco è formato da uno spesso strato di foglie e rami caduti che sembra liscio, ma in realtà è impensabile da pedalare, si cammina male perfino a piedi. Che fatica! Dopo diverse decine di minuti di slalom in salita, cercando di capire dov'è il sentiero in base a qualche segnale o mucchietto di sassi, decidiamo di fare la pausa pranzo. E' una scusa per fare un break, speriamo che a pancia piena si salga meglio. Il morale è sempre abbastanza alto, si ride e si scherza anche se le facce sono segnate dalla stanchezza.

Si riparte, sgranandosi ben presto in un immenso pratone privo di qualsiasi traccia. Ognuno sceglie la sua via, il sentiero è dentro di te... Alex e Mimmo, ambedue agevolati dalle lunghe leve, scelgono la direzione più ripida e diretta e prendono un discreto vantaggio, gli altri procedono in ordine (molto) sparso e si traccheggiano con la scusa di fotografarsi a vicenda: effettivamente alle nostre spalle la vista è mozzafiato, molto più di quello che le foto mostreranno.

Se dio vuole, in qualche modo raggiungiamo la strada asfaltata ad un'altezza di poco inferiore al rifugio Pomilio, che si trova circa a 1850 metri s.l.m.. Qualcuno, avvicinandoci al rifugio, accarezza l'idea di un bel ristoro con thè caldo e torte casarecce, altri addirittura si sbilanciano, sognando una bella polenta con salsicce. Io, invece ho un cattivo presentimento: infatti... è tutto stoppinato, non c'è anima viva! Solo qualche camper desolatamente parcheggiato nel piazzale.

Il morale scende di un paio di tacche, ma ormai abbiamo detto Blockhaus e Blockhaus dev'essere. Si sale lentamente ma con relativa fatica, il panorama (per ora) è imponente e già si vedono i crinali dietro alla montagna, lungo i quali dovremo andare a ridiscendere: sono abbastanza impressionanti, ripidi e selvaggi. Ma la traccia che abbiamo parla chiaro...

Purtroppo le nubi si stanno addensando proprio nella direzione verso la quale siamo diretti. Troviamo una fontana e ci approvvigioniamo d'acqua, consumando anche qualche barretta per "tenerci su". La strada, sempre asfaltata (probabilmente una militare), percorre esattamente il crinale che collega le cime più alte della zona, con una bella spalletta di legno da entrambi i lati, e lascia spaziare l'occhio in ogni direzione. Arriviamo alla fine della strada, il sentiero prosegue ma sembra piuttosto angusto. Alcune persone a piedi ci salutano, a quanto pare sono una comitiva di tedeschi con due guide locali che s'informano sulla nostra provenienza: restiamo un po' a parlare e chiediamo notizie sul percorso che ci aspetta più avanti. Saputa la nostra destinazione, sembrano scettici sul percorso che vorremmo fare. Il più professionale dei due, anzi, ci sconsiglia quasi esplicitamente di avventurarci in quel sentiero nel quale lui stesso, dice, si è perso ed ha dovuto chiamare i soccorsi!

Come se non bastasse, le nubi si fanno minacciose e riecheggia un sommesso brontolio di tuono... Ci dicono, inoltre, che in alcuni tratti è necessario spingere ancora le bici. Mmmmm... Sarà meglio ripensarci bene. L'altra guida, che si dichiara appassionato anche lui di MTB, ci consiglia di scendere il "Tobogone", un sentiero che possiamo imboccare vicino al rifugio Pomilio e che crediamo di aver individuato salendo. Non è la prima volta che sentiamo questo nome, anche Adamo ce ne aveva parlato in termini entusiastici. Ci riporterebbe velocemente verso "casa" e, per di più, quel versante è sgombro di nubi... La decisione è presa, si torna indietro: il Blockhaus, con i suoi 2000 metri e passa, l'abbiamo raggiunto, perciò non è una sconfitta.

Torniamo fino al rifugio, scendiamo ancora qualche tornante (qualcuno inizia a fare dei taglioni attraverso i prati, per entrare nello spirito giusto...) e, finalmente c'infiliamo nel sentiero che era lì ad attenderci.

IL TOBOGONE??

Il primo tratto è molto scassato e taglia trasversalmente il pendio, fa una curva e entra nella vegetazione bassa di pino mugo che ne invade un po' lo spazio con i suoi duri rami, costringedoci a fare attenzione per non farsi deviare con le ruote fuori dal tracciato. Mimmo ne paga le conseguenze con una scivolata laterale e un ginocchio sbucciato. Entriamo nel bosco, un po' dubbiosi di aver sbagliato sentiero, dato che è si piuttosto divertente e impegnativo, ma... non sembra proprio un "toboga". Mah.

Dopo un po' sbuchiamo in uno spiazzo dominato da una imponente formazione rocciosa. Riconosco, ancor prima di leggere i cartelli, il "Campanaro" che ci aveva descritto Adamo come meta da visitare e punto di partenza di diversi bei percorsi. Beviamo alla fontanina qui presente che sembra prendere per il culo chi ha sete: butta l'acqua a singhiozzo e pare attendere quando avvicini le labbra per smettere di versare... Il morale è risalito un po' e Beppe si accinge per l'ennesima volta a filmare la discesa: ciak, si riparte. Vado avanti con il cameraman a ruota e gli altri subito dietro: Gecko, con l'altra Spicy, non perde palata, Fabio con la sua Zesty che non è proprio da enduro ma si comporta assai bene, poi Nano con la sua euforia da neofita già ben avviato e via via tutti gli altri con maggiore o minore destrezza e con bici più o meno adatte a quello che ci aspetta, l'autentico, inimitabile Tobogone!

Iniziano immediatamente i tornanti. ravvicinati e scavati, con le sponde alte e qualche (!) pietrone qua e la per insaporire il tutto, si tratta solo di prendere il ritmo giusto. Uno, due, tre curvoni parabolici e l'adrenalina entra in circolo, Beppe inizia a tagliare qualche tornante per improbabili traiettorie in mezzo ai massi, accompagnate da urla e risate, io cerco di forzare il mio istinto per entrare nelle curve molto in alto sulla sponda esterna, accorgendomi che in questo modo riesci ad uscire con una velocità impressionante! Il problema è che... sei subito addosso al tornante seguente! Ma quanti sono?! Ogni tanto ci fermiamo, sorridendoci a vicenda, ma riusciamo a stare fermi solo per pochi attimi, non vedo l'ora di ripartire dentro questo parco dei divertimenti naturale. Quasi 500 metri di dislivello passano in un lampo, ma è un lampo nel quale il tempo si è fermato e lascia dentro di te la stessa sensazione di una bella... vabbè, non entriamo nei particolari. Ci raggruppiamo, sapendo che non è finita: il tratto da qui in poi lo conosciamo, siamo nella zona già percorsa nei giorni precedenti, ma proprio per questo sappiamo che c'è ancora da divertirsi con i singletrack, le radici, i massi e qualche saltino...

Arriviamo alla "Baita del Poeta" e ci scappa l'ennesima birra e "gazosa" con qualche stuzzichino. Al tavolo sotto la pergola le facce sono di nuovo soddisfatte e, come tutti i giorni passati di questo Bike Camp, ci scambiamo gli auguri con il brindisi di rito: "Che ci duri...!". Per scendere l'ultimo tratto scegliamo il percorso più "freeride", ci sono dei salti davvero impressionanti che non ci sentiamo di fare adesso, ma chissà...

Per l'ultima serata abbiamo invitato Adamo a cena al ristorante del Pater Montium, per sdebitarci almeno simbolicamente nei confronti di questi nuovi amici abruzzesi che ci hanno accolti così ospitalmente. Una bella doccia, poi indossiamo per la prima volta la "tuta di società" e ci facciamo una bella foto di gruppo. Arriva Adamo e  consegniamo anche a lui una giacca uguale alle nostre che avevamo portato per questo da Livorno. Meno male, la indossa e gli sta bene e, almeno in piccola parte, ci sentiamo di aver ricambiato l'accoglienza ricevuta.

La cena è gustosa, il Montepulciano e la birra scorrono liberamente (ormai quest'ultima l'abbiamo adottata anche noi) e un discorso tira l'altro in una atmosfera di serenità e d'amicizia. Dopo cena ci raggiungono Danilo e Roberto, altri due bikers del posto, ed anche con loro s'instaura subito un buon rapporto. Compare dal nulla una bottiglia del liquore Centerba, una bomba da 72° almeno... Va bevuta d'un fiato, dicono, e provvedo subito. Buona! Solo che il bicchierino vuoto viene subito riempito, hai voglia a protestare. Allora capisco che è meglio centellinare, brucia di più ma almeno non sono costretto a berne uno dietro l'altro.

Alla fine ci congediamo, non prima di esserci accordati per il giro del giorno dopo, nel quale Roberto si è offerto di guidarci... su un percorso che Adamo "pretende" che facciamo assolutamente! "C'è da salire e da spingere, ma tanto a voi che vi fa, siete abituati alle Dolomiti!", continua a ripetercelo da quando siamo arrivati con un sorriso a 32 denti stampato in faccia. Non so cosa gli ha detto Gecko, ma forse ci sopravvalutano un po'...? Oppure no. Per ora non abbiamo certo sfigurato, anzi.

QUINTO GIORNO: FONTE VETICA E FONTE ORNELLI

E' l'ultima colazione al bar del Pater Montium, ce la godiamo senza fretta e, quando arriva Roberto con la sua GT con gomme Minion da DH, siamo tutti pronti, con la sola eccezione di Alex che ha deciso di riposarsi per affrontare meglio il lungo viaggio di ritorno. E' lui il nostro nocchiero ufficiale.

Si parte, baldanzosi come fosse il primo giorno, salendo praticamente sullo stesso percorso che abbiamo fatto per il Blockhaus. Mi prende lo sfizio di cercare di pedalare qualsiasi strappo, anche quelli più ripidi e difficoltosi, sapendo che non sono mai tratti troppo lunghi; Gecko si picca di seguirmi ovunque e Fabio, a sua volta, di seguire lui. Probabilmente Roberto ci avrà preso per scemi, comunque Gecko continua a maledirmi perchè non voglio mollare. E nemmeno loro.

Arriviamo ad un bivio dove, per salire al Blockhaus, siamo andati a destra; stavolta andiamo dritti, ma è ripido e bisogna spingere. Dopo un po', ci rendiamo conto di essere sul Tobogone, che risulta assai meno bello, fatto in salita! Rivediamo le nostre sgommate e anche una radice dove Alex ha baciato terra a "pelle di leone"...

Arriviamo allo spiazzo del Campanaro e ci raduniamo, poi si comincia a scendere un sentierino laterale molto stretto ed impegnativo a causa della contropendenza accentuata che richiede una precisione di guida che, modestamente, non ci manca. E' divertente, ma non pare scendere un granchè fin quando non arriviamo ad un bivio che ci porta, rapidamente, alla pittoresca "fonte Vetica". E' da qui in poi che inizia la festa, mai visto un sentiero con questi tornanti così secchi e ripidi, appena hai (faticosamente) girato la bici quasi di 180°... devi affrontarne un altro dalla parte opposta! Ma il fondo è ottimo e la traccia scavata permette di scendere anche a gomma posteriore bloccata. Anche questo tipo di sentiero è, per noi, inconsueto: ma s'impara alla svelta, si prende confidenza e si scende sempre più veloci, senza mettere un piede in terra. L'unico neurone rimasto acceso formula un pensiero: ma questa è la capitale mondiale dei toboga! Grandi, piccoli, sempre divertenti da morire. Probabilmente abbiamo avuto anche la fortuna di capitare in un periodo in cui il fondo è perfetto. Nella vita ci vuole anche fortuna, che comunque... aiuta gli audaci.

Incrociamo il sentiero della Valle delle Monache, già percorso l'altroieri al contrario per andare alle Cascate: fatto in questo senso è di gran lunga più divertente, i saliscendi sono veloci e arrivi a tutto foo dove ci sono dei cambi di direzione che ti vogliono vedere in ghigna. Siamo ancora alla fontana di Pian delle Mele, si risale un breve tratto di carrareccia e via, altro sentierino divertente con fondo terroso friabile e slalom tra i pini, tutto da guidare. C'è anche un tronco da saltare... si, perchè per superarlo c'è una rampetta da salire e per scendere di là bisogna... volare, ma non fa paura perchè c'è molto spazio per atterrare e frenare. Qualche "ooooyeahh" risuona e siamo sopra la Fonte degli Ornelli, da superare anch'essa a volo radente, stavolta galleggiando sui pietroni. E non c'è tanto spazio per frenare, dopo. Ma tant'è... ormai non ci ferma più nulla.

Il finale, dopo un po' di carrareccia e tanticchia d'asfalto in discesa, ci riporta al percorsino freeride con appoggi e salti che abbiamo già fatto altre volte, ogni volta più veloci. Non ci facciamo mancare neanche il "Muro", un fittone di dieci metri con saltino finale mooolto lanciato. Una manciata di ciliege al "solito" albero e stavolta è avvero finita. Ci congediamo dall'ottimo Roberto che è atteso a casa e non può rimanere, come avremmo voluto, con noi a pranzo a Pater Montium: eh già, non possiamo mica andarcene senza assaggiarne i primi piatti, che si rivelano ottimi. Per dessert, una sorpresa annunciata: Danilo, Roberto e Adamo ci hanno lasciato due vassoi di "sise delle monache" delle enormi e squisite paste farcite di crema, prodotto tipico del paese. Un vassoio viene livellato, l'altro servirà per il viaggio di ritorno. Che pensiero gentile, sono veramente delle belle persone.

Le bici sono già sul carrello, le borse sono pronte, quattro parole con i gestori della struttura ai quali faccio i miei complimenti. Speriamo di tornarci, merita veramente.

Il viaggio di ritorno, benchè lungo e rallentato da alcuni tratti con molto traffico, trascorre tranquillo tra una chiacchera e un sonnellino, una sofferta telefonata a casa (ho il cellulare inaspettatamente scarico e non ricordo i numeri a mente...) e un ristoro a base di "sise" golose. 

Alla fine il bilancio di questa vacanza, come si può immaginare, è altamente positivo: raramente mi sono divertito a questo modo e credo che questo valga anche per gli altri, il clima di amicizia all'interno del gruppo e tra questo e i nostri nuovi amici abruzzesi è stato quello dei tempi migliori, cameratesco e spensierato.

Davvero una Majella sorprendente.